Mi dà dolore proprio fisico, sapere di quella ragazza morta dentro un macchinario.
La cosa è strana però, perché non ho come reazione qualcosa che riguardi i diritti. Per buona parte della mia vita ho lavorato in fabbriche e fabbrichette e l'incidente l'ho sempre dato per scontato.
Non parlo di giusto o di sbagliato, ma di timbrare il cartellino.
L'ho rischiato un'infinità di volte di finire male o molto male, l'ho fatto rischiare, l'ho visto accadere, grave, e una volta come a quella ragazza, più o meno.
Soccorsi anche un ragazzo, era caduto dall'alto, uno slavo, sfruttato, certo, senza nessuna protezione, si spaccò la faccia, lo dico per prima perché anche se si spaccò altre ossa, lui sdraiato in terra mi chiedeva come ho la faccia, come ho la faccia.
Noi giù nel capannone eravamo più garantiti, quantomeno come contratto non come sicurezza, e lui stava sul tetto a mettere a posto non so cosa.
Per anni e anni, col carrello della foto dove faccio il figo, sono passato sulle teste degli altri con tonnellate di materiale, ci eravamo abituati, eppure sarebbe bastato un niente e li avrei ammazzati.
Altre volte ho lavorato sottoterra asfissiato, sui tetti anch'io senza alcun ancoraggio, o con le mani tra alti voltaggi, o scaricando container fino a un tale sfinimento da non avere manco l'energia per tremare, così semplicemente manco ci pensi più a quello che stai facendo e la passi liscia per caso.
Diritti?
Volevamo essere pagati, se poi avevamo persino la cassa malattia, le ferie, tutte quelle cose lì, la sicurezza era l'ultimo dei pensieri.
Aggiungo solo, per non fare troppo la figura del deficiente schiavo, che quando potevo osservavo che i miei compagni e le mie compagne non corressero rischi.