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| Sull'incapacità dell'Italia di gestire la vicenda non ci sono dubbi. Su tutto il resto si. La Corte Suprema indiana ha riconosciuto che i fatti contestati ai marò sono avvenuti in acque internazionali. Quindi la giurisdizione è italiana come dicono tutti gli esperti di diritto internazionale. ''Il fermo o il solo processo nei confronti dei due soldati italiani costituiscono un illecito internazionale da parte dell'India''. Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale all'universita' La Sapienza e autore di diverse pubblicazioni sull'argomento, concorda cosi' con le posizioni dell'Italia sulla vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – coinvolti nell'uccisione di due pescatori indiani e attualmente detenuti a Kollam – e, in un'intervista all'Ansa spiega come, ''senza alcun dubbio'', per i due maro' valga il principio dell'immunita' funzionale. Secondo il giurista, i due soldati ''hanno agito nell'ambito di una funzione ufficiale, per conto dello Stato italiano'', adempiendo a quella missione anti-pirateria prevista dalla legge italiana e ''autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu''. A loro – spiega – si applica il principio ''dell'immunita' funzionale, regola consuetudinaria del diritto internazionale che vige sin dal 1700, in base alla quale gli atti di un organo dello Stato connessi all'esercizio delle funzioni vanno imputati allo Stato'' e ''non alle persone'' che li hanno commessi. Cio', e' la sua precisazione, ''vale sicuramente in quanto i due hanno agito in acque internazionali'' e, ''a mio avviso, varrebbe anche se il fatto fosse avvenuto in acque territoriali indiane''. Anche se, su questo punto, ''potrebbe esserci una maggiore incertezza giuridica e le autorita' indiane potrebbero contestare ai due militari di aver adempiuto a funzioni ufficiali nell'ambito della sovranita' di uno Stato senza l'autorizzazione di quest'ultimo'', puntualizza Cannizzaro. Allo stato dell'arte, pero', l'illecito dell'India appare evidente. I due maro' andrebbero eventualmente giudicati in patria e, se il fermo persiste, l'Italia potrebbe quindi ''attuare o minacciare contromisure come l'interruzione dei rapporti diplomatici e commerciali, chiedere l'apertura di una commissione di inchiesta o di arbitrato – anche se, in mancanza di un trattato, l'India non e' obbligata a rispondere – o esperire uno dei 4 sistemi di controversie previsti dalla Convenzione Onu sul diritto del mare davanti al tribunale internazionale del mare''. Un'ipotesi, quest'ultima, che ''sarebbe pero' da esplorare''. Nel frattempo, l'Italia potrebbe anche portare il caso ''davanti al Consiglio di Sicurezza Onu'' mentre l'Ue ''e' giuridicamente estranea alla vicenda'', sottolinea ancora Cannizzaro. Il docente ricorda poi alcuni, celebri, precedenti in cui e' stato il governo italiano ad applicare correttamente il diritto internazionale: da quello dell'omicidio Calipari a quello del Cernis, nei quali ''nonostante la dura reazione dell'opinione pubblica'', i militari Usa coinvolti furono giudicati in patria. E, anche per la vicenda dei maro', ''non sorprende la reazione politica indiana''. Ma diversa e' la questione giuridica, sulla quale ha anche pesato la scelta della Enrica Lexie di attraccare al porto di Kochi. ''Cio' ha consentito all'India di prelevare facilmente i due militari. In caso contrario, le autorita' indiane avrebbero dovuto agire con un'azione coercitiva in acque internazionali, e sarebbe stato molto piu' grave'', e' la conclusione di Cannizzaro. Qui c'è stata una successione di atti illeggittimi (India) ed imbecilleschi (Italia), che giocano sulla pelle di due militari che stavano lì per fare quello che i militari indiani non sanno o non vogliono fare. Non ci dimentichiamo , fra l'altro che, per motivi analoghi, molti pescatori indiani sono stati uccisi da navi dello Sri Lanka, nell'indifferenza generale delle autorità indiane.
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