| Durante la guerra in Vietnam, intendo quella con gli USA, una immagine fece il giro del mondo e mi colpì talmente tanto da decidere che sarei stato, da quel momento in poi, una persona pacifica, intendendo con questo che non mi piace litigare ne concludere un incontro, o uno scontro verbale, una amicizia, senza aver almeno potuto stringere la mano e salutare la persona con un arrivederci. L'immagine era di una bimba, intorno ai nove anni, che urlando correva nuda in mezzo ad una strada con il corpo ricoperto dalle bruciature. Non so cosa ne sia stato di quella bambina, ma io non l'ho mai dimenticata. Ho sempre pensato che noi occidentali, di qualunque nazione, siamo in debito con lei, simbolo di una generazione di persone che ha visto e subito gli orrori della cattiveria umana. Circa trent'anni dopo, ho avuto la fortuna di conoscere un'altra vietnamita, questa volta, però, è una donna perfettamente integrata nella mia società, nella mia patria, e questa ospitalità, anche se in minima parte, potrebbe essere un modo per sdebitarsi del male che noi, anche se indirettamente, abbiamo fatto ai suoi genitori. Questa donna, dall'apparente sicurezza, è bella e sensuale, e il portamento fa pensare all'eleganza di una gazzella della Savana, alla fierezza della giraffa, ma scoprirne i lati migliori significa entrare nel giardino nascosto del suo cuore. Ed io credo di avere avuto il privilegio di affacciarmici per qualche istante e poter ammirare fiori mai visti prima, fatti di bontà, armonia, generosità, altruismo, passione, amore, voglia di vivere. Volevo ringraziare questa donna per quello che mi ha dato in un brevissimo spazio di tempo, con un susseguirsi vertiginoso di sentimenti e sensazioni senza pause e in grado di scombussolare totalmente ogni neurone che fino ad una settimana fa stazionava pacificamente nel mio cervello. Grazie T. E' stato meglio incontrarsi e poi lasciarsi che non esserci mai conosciuti. Questa frase, o una simile, non è mia, la prendo in prestito da Fabrizio De Andrè. Arca
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