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Riflessioni sulla morte, letteratura pittura... persino vignette

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libera*
view post Posted on 23/3/2005, 12:08     +1   -1




QUOTE (nutij @ 22/3/2005, 18:27)
QUOTE (libera* @ 21/3/2005, 15:49)
Che schifo adesso hanno fatto pure una legge per riattaccare i tubi a quella povera donna,fanno attacca e stacca.
E' orribile ridursi in questo stato.
ecco qui

però alla fine...

QUOTE
22 marzo 2005

WASHINGTON. Il giudice federale di Tampa, James Whittemore, ha deciso che non venga reinserito il tubo che
alimenta Terry Schiavo, la donna che dal 1990 sopravvive in uno stato vegetativo.

Il giudice ha così respinto la richiesta dei genitori della Schiavo, che, sulla base di una legge approvata d'urgenza dal Congresso, avevano chiesto di rovesciare precedenti decisioni dei magistrati della Florida.



QUOTE
23 marzo 2005
Terri Schiavo, un altro no
"Niente alimentazione"
Anche la Corte d'appello federale di Atlanta (Georgia) ha bocciato il ricorso dei genitori
Adesso non resta che l'appello alla Corte suprema


Edited by libera* - 23/3/2005, 12:14
 
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view post Posted on 23/3/2005, 13:40     +1   -1
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veramente sarei fuxia

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nel frattempo speriamo che ciò che resta di quella povera donna se ne vada in pace..
 
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bluette
view post Posted on 23/3/2005, 17:24     +1   -1





A volte si muore anche in senso metaforico...


Vinicio Capossela

Si è spento il sole
(beretta/del prete/adricel/leoni)

Si è spento il sole nel mio cuore per te,
non ci sarà più un'altra estate d'amor,
i giorni sono fredde notti per me,
senza più luce nè calor!

Sul caldo mare che ci ha fatto incontrar,
un vento gelido mi porta il dolor,
la bianca luna che ci ha fatto sognar
si è spenta come il sole d'or!

Muore nell'ombra la vita
nel silenzio di tanti ricordi,
pur se l'estate è finita
l'amo ancor-o-o-o-o.

Si è spento il sole e chi l'ha spento sei tu
da quando un altro dal mio cuor ti rubò.
innamorare non mi voglio mai più
e nessun'altra cercherò,

io cercherò!...
Amare un'altra non potrò,
amare un'altra non potrò.




Il VIDEO



Edited by bluette - 23/3/2005, 17:26
 
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view post Posted on 23/3/2005, 17:40     +1   -1
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veramente sarei fuxia

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bellissima..
cantata da celentano però era un'altra cosa..
 
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bluette
view post Posted on 23/3/2005, 19:09     +1   -1




CITAZIONE (Maldestro @ 23/3/2005, 17:40)
bellissima..
cantata da celentano però era un'altra cosa..

Non sapevo fosse stata cantata anche da Celentano...
In effetti rientra nel suo genere
 
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bluette
view post Posted on 23/3/2005, 19:13     +1   -1




Fnomceo

Ordine ed anestesisti, contrari all'eutanasia

''Pieno appoggio alla decisione presa dal Presidente Bush di riallacciare la sonda che alimenta la giovane Terri Schiavo''. Ad esprimerlo è il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), Giuseppe del Barone. ''Si tratta di una iniziativa - commenta Del Barone in una nota - mirata a garantire la vita ad un essere umano che ha la sfortuna di non poter manifestare la propria volontà''. ''Di fronte a questo caso doloroso che sta scuotendo le coscienze - aggiunge - non posso non ribadire concetti più volte espressi sul ruolo del medico al capezzale di malati terminali o in coma prolungato. E' bene ricordare che una professione di vita, come quella medica, è tesa a curare e guarire il malato e, dove ciò risultasse impossibile, ad alleviare dolore e sofferenza. Staccare la spina sarebbe contrario all'etica e alla deontologia professionale e vorrebbe dire, nel caso di Terri, condannare sicuramente la giovane a gravi sofferenze prima della morte''.

Una indagine conoscitiva promossa nel 2004 dall' A.A.R.O.I, Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani, rivela che il 60% degli anestesisti rianimatori ospedalieri afferma di avere bisogno di chiarimenti adeguati e corretti sulle problematiche morali ed antropologiche; il 76 % degli intervistati, ritiene non moralmente accettabile la somministrazione di farmaci in dosi volutamente letali.

Doctor News, 23/03/05



Invece l'accanimento in questi casi è morale!

Edited by bluette - 23/3/2005, 19:18
 
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libera*
view post Posted on 24/3/2005, 17:38     +1   -1




QUOTE
24 marzo 2005
WASHINGTON - La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto la richiesta d'urgenza dei genitori di Terri Schiavo di ripristinare l'alimentazione della donna, sospesa da venerdì scorso. Con un verdetto costituito da una sola frase, la Corte afferma che non interverrà nella vicenda che riguarda la donna, dal 1990 in stato vegetativo persistente. La sentenza è firmata da Anthony Kennedy, che era il giudice di riferimento per questo caso ma che, prima d'emettere il verdetto, ha consultato l'intera Corte Suprema. Il rifiuto d'intervenire non è spiegato, ma è almeno la quinta volta che la Corte Suprema rifiuta d'essere coinvolta nella vicenda di Terri Schiavo.
 
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bluette
view post Posted on 31/3/2005, 20:50     +1   -1





La festa dei morti

di Giovanni Verga
da "Vagabondaggio", 1887

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Nella collina solitaria, irta di croci sull'occidente imporporato, dove non odesi mai canto di vendemmia, né belato d'armenti, c'è un'ora di festa, quando l'autunno muore sulle aiuole infiorate, e i funebri rintocchi che commemorano i defunti dileguano verso il sole che tramonta. Allora la folla si riversa chiassosa nei viali ombreggiati di cipressi, e gli amanti si cercano dietro le tombe.
Ma laggiù, nella riviera nera dove termina la città, c'era una chiesuola abbandonata, che racchiudeva altre tombe, sulle quali nessuno andava a deporre dei fiori. Solo un istante i vetri della sua finestra s'accendevano al tramonto, quasi un faro pei naviganti, mentre la notte sorgeva dal precipizio, e la chiesuola era ancora bianca nell'azzurro, appollaiata come un gabbiano in cima allo scoglio altissimo che scendeva a picco sino al mare. Ai suoi piedi, nell'abisso già nero, sprofondavasi una caverna sotterranea, battuta dalle onde, piena di rumori e di bagliori sinistri, di cui il riflusso spalancava la bocca orlata di spuma nelle tenebre.

Narrava la leggenda che la caverna sotterranea, per un passaggio misterioso, fosse in comunicazione colla sepoltura della chiesetta soprastante; e che ogni anno, il dì dei Morti - nell'ora in cui le mamme vanno in punta di piedi a mettere dolci e giocattoli nelle piccole scarpe dei loro bimbi, e questi sognano lunghe file di fantasmi bianchi carichi di regali lucenti, e le ragazze provano sorridendo dinanzi allo specchio gli orecchini o lo spillone che il fidanzato ha mandato in dono per i morti - un prete sepolto da cent'anni nella chiesuola abbandonata, si levasse dal cataletto, colla stola indosso, insieme a tutti gli altri che dormivano al pari di lui nella medesima sepoltura, colle mani pallide in croce, e scendessero a convito nella caverna sottostante, che chiamavasi per ciò «la Camera del Prete». Dal largo, verso Agnone, i naviganti s'additavano l'illuminazione paurosa del festino, come una luna rossa sorgente dalla tetra riviera.

Tutto l'anno, i pescatori che stavano di giorno al sole sugli scogli circostanti, colla lenza in mano, non vedevano altro che lo spumeggiare della marea, quando s'internava muggendo nella «Camera del Prete», e il chiarore verdognolo che ne usciva colla risacca; ma non osavano gettarvi l'amo. Un palombaro che s'era arrischiato a penetrarvi, nuotando sott'acqua, uno che non badava né a Dio né al diavolo, pel bisogno che lo stringeva alla gola, e i figliuoli che aspettavano il pane, aveva visto il chiarore ch'era lì dentro, azzurro e ondeggiante al pari di quei fuochi che s'accendono da sé nei cimiteri, il pietrone liscio e piatto, come una gigantesca tavola da pranzo, e i sedili di sasso tutt'intorno, rosi dall'acqua, e bianchi quali ossa al sole. L'onda che s'ingolfava gorgogliando nella caverna, scorreva lenta e livida nell'ombra, e non tornava mai indietro; come non tornò più quel poveretto che s'era strascinato via. L'estate, nell'ora in cui ogni piccola insenatura della riva risonava della gazzarra dei bagnanti, l'onda calma scintillava, rotta dalle braccia di qualche ragazzo che nuotava verso le sottane bianche, formicolanti come fantasmi sulla spiaggia. - Così quel prete, un sant'uomo, aveva perso l'anima e la ragione dietro i fantasmi delle terrene voluttà, il giorno in cui Lei - la tentazione - era venuta a confessargli il suo peccato, nella chiesetta solitaria ridente al sole di Pasqua, col seno ansante e il capo chino, su cui il riflesso dei vetri scintillanti accendeva delle fiamme impure. Da cent'anni le sue ossa, consunte dal peccato, posavano nella fossa, stringendosi sul petto la stola maculata. Ivi non giungevano gli strilli provocanti delle ragazze sorprese nel bagno, né il canto bramoso dei giovani, né le querele delle lavandaie, né il pianto dei fanciulli abbandonati. La luna vi entrava tacita dallo spiraglio aperto nella roccia, e andava a posarsi, uno dopo l'altro, su tutti quei cadaveri stesi in fila nei cataletti, sino in fondo al sotterraneo tenebroso, dove faceva apparire per un istante delle figure strane. L'alba vi cresceva in un chiarore smorto, che al fuggire delle ombre sembrava far correre un ghigno sinistro sulle mascelle sdentate. Il giorno lungo della canicola indugiava sotto le arcate verdognole, con un brulichìo furtivo di esseri immondi in mezzo all'immobilità di quei cadaveri.

Erano defunti d'ogni età e d'ogni sesso: guance ancora azzurrognole, come se fossero state rase ieri l'ultima volta, e bianche forme verginali coperte di fiori; mummie irrigidite nei guardinfanti rigonfi, e toghe corrose che scoprivano tibie nerastre. Dallo spiraglio aperto nell'azzurro entravano egualmente il soffio caldo dello scirocco, e i gelati aquiloni che facevano svolazzare come farfalle di bruchi le trine polverose e i riccioloni cadenti dai crani gialli. I fiori, già secchi di lagrime, si agitavano pel sotterraneo, come vivi, e andavano a posarsi su altre labbra rose dal tempo; e appena il vento sollevava i funebri lenzuoli, stesi da mani smarrite d'angoscia su caste membra amate, occhi inquieti di rettili immondi guardavano furtivi nelle ossa nude.
Poscia, nell'ore in cui il sole moriva sull'orlo frastagliato dello spiraglio, il ghigno schernitore di tutte le cose umane sembrava allargarsi sui teschi camusi, e le occhiaie vuote farsi più nere e profonde, quasi il dito della morte vi avesse scavato fino alla sorgente delle lagrime. Là non giungeva nemmeno il mormorio delle preci recitate all'altare in suffragio dei defunti che dormivano sotto il pavimento della chiesuola, e i singhiozzi dei parenti non passavano il marmo della lapide. Le raffiche delle notti di fortuna scorrevano gemendo sulla casa dei morti, senza lasciarvi un pensiero per coloro che in quell'ora erravano laggiù, pel mare tempestoso, coi capelli irti d'orrore al sibilo del vento nel sartiame; né un senso di pietà per le povere donne che aspettavano sulla riva, sferzate dal vento e dalla pioggia; né un ricordo delle lagrime che videro forse, nell'ora torbida dell'agonia, e che bagnarono quegli stessi fiori che adesso vanno da una bara all'altra, come li porta il vento. - Così le lagrime si asciugarono dietro il loro funebre convoglio; e le mani convulse che composero nella bara le loro spoglie, si stesero ad altre carezze; e le bocche che pareva non dovessero accostarsi ad altri baci, insegnano ora sorridendo a balbettare i loro nomi ai bimbi inginocchiati ai piedi dello stesso letto, colle piccole mani in croce, perché i buoni morti lascino dei buoni regali ai loro piccoli parenti che non conobbero. - Tanto tempo è passato, insieme alle bufere della notte, e al soffio d'aprile, colle ore che suonano uniformi e impassibili anch'esse sul campanile della chiesuola, sino a quella del convito!

A quell'ora tutti gli scheletri si levano ad uno ad uno dalle bare tarlate, coi legacci cascanti sulle tibie spolpate, colla polvere del sepolcro nelle orbite vuote, e scendono in silenzio nella «Camera del Prete», recando nelle falangi scricchiolanti le ghirlande avvizzite, col ghigno beffardo di tutte le cose umane nelle bocche sdentate.
Più nulla! più nulla! - Né la tua treccia bionda, che ti cade dal cranio nudo. - Né i tuoi occhi bramosi, pei quali egli sfidò il disonore e la morte, onde portarti il bacio delle labbra che non ha più. Ti rammenti, i baci insaziati che dovevano durare eterni? - E neppure i morsi acuti della gelosia, il delirio sanguinoso che mise in mano a quell'altro l'arma omicida. - Né le lagrime che si piangevano attorno a quel letto, e quel morente voleva stamparsi negli occhi dilatati dall'agonia. - Né le ansie delle notti vegliate in quella stanza già funebre, in quell'attesa già disperata. - Né le carezze con cui il caro bimbo pagava il latte di quel seno e i dolori di quella maternità. - E neppure le lotte in cui l'uno si è logorato. - Né le speranze che hanno accompagnato l'altro sin là. - Né i fiori del campo per cui si è tanto sudato. - Né i libri sui quali si è vissuto tanta e tanta vita. - Né la bestemmia del marinaio che stringe ancora le alghe secche nelle falangi contratte. - Né la preghiera del prete che implora il perdono dei falli umani. - E non l'azzurro profondo del cielo tempestato di stelle; né il tenebrore vivente del mare che batte allo scoglio. - L'onda che s'ingolfa gorgogliando nella caverna sotterranea, e scorre lenta e livida sulla «Tavola del Prete» si porta via per sempre le briciole del convito, e la memoria di ogni cosa.
Ora nel costruire la diga del molo nuovo, hanno demolito la chiesuola e scoperchiano la sepoltura. La macchina a vapore vi fuma tutto il giorno nel cielo azzurro e limpido, e l'argano vi geme in mezzo al baccano degli operai. Quando rimossero l'enorme pietrone posato a piatto sul piedistallo di roccia come una tavola da pranzo, un gran numero di granchi ne scappò via, e quanti conoscevano la leggenda, andarono narrando che avevano visto lo spirito del palombaro ivi trattenuto dall'incantesimo. Il mare spumeggiante sotto la catena dell'argano tornò a distendersi calmo e color del cielo, e scancellò per sempre la leggenda della «Camera del Prete».

Nel raccogliere le ossa del sepolcreto per portarle al cimitero, fu una lunga processione di curiosi, perché frugando fra quegli avanzi, avevano trovato una carta che parlava di denari, e molti pretendevano di essere gli eredi. Infine, non potendo altro, ne cavarono tre numeri pel lotto. Tutti li giocarono, ma nessuno ci prese un soldo.




Edited by bluette - 1/4/2005, 21:15
 
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bluette
view post Posted on 31/3/2005, 21:09     +1   -1





VANITAS
Vanitas vanitatum, et omnia vanitas/Vanità delle vanità e tutto è vanità
Ecclesiaste

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Il termine deriva dalla parola iniziale del libro biblico dell'Ecclesiaste, "Vanitas vanitatum" e definisce, nella storia dell'arte, un soggetto iconografico, che può essere riconducibile al genere della "natura morta", caratterizzato dalla presenza di oggetti in relazione alla caducità della condizione umana, quali orologi, clessidre, teschi, candele, o anche bolle di sapone e simili.

Il tema della vanità, intesa come riflessione sulla vacuità delle cose terrene, origina dal testo di Qohelet, comunemente noto con il titolo greco "Ecclesiaste", forse il più sconcertante autore biblico che ci ha lasciato un libretto di sole 2987 parole ebraiche, distribuite dalla tradizione in 12 scarni capitoletti e in 222 versetti verosimilmente risalenti al III secolo a. C. L'autore affronta tutti casi della vita umana, concludendo sempre con il concetto potente e nel medesimo tempo spaventoso: "...tutto è vanità e un inseguire il vento.".
La morale sottesa a tutta la composizione è certamente il rispetto della volontà di Dio intessuta ad un invito alla moderazione nell'uso delle cose terrene; proponendo la grazia divina, offerta dalla rivelazione cristiana, come unico e finale premio dell'ineludibile desiderio di felicità provato dagli uomini.

Essenzialmente svolto in campo pittorico a partire dall'inizio del XVII secolo, con il termine Vanitas normalmente si intende un genere di natura morta nella quale la giustapposizione di taluni motivi evoca la vanità e la caducità delle cose di questo mondo. Fiori recisi, frutta che si decompone, teschi, cristalli e specchi, denaro e gioielli, pipe spente e polvere accumulatasi sugli strumenti musicali, svolgono la specifica tematica del memento mori, del "ricorda che devi morire".

La natura morta con contenuto morale, detta, appunto, "Vanitas" ebbe la sua origine a Leida, in Olanda, attorno al 1630, forse in concomitanza alla presenza, in quella città, di un nutrito gruppo di studiosi calvinisti, e raggiunse il massimo della popolarità attorno alla metà del XVII secolo.
Il tema godette immediatamente di grande fortuna in tutta Europa, soprattutto nei Paesi Bassi, durante tutto il corso del secolo.

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Il contenuto delle "Vanitas" può essere suddiviso in quattro gruppi :

- Il primo comprende simboli della vita attiva, del sapere e del potere come libri, strumenti scientifici o artistici, denaro, borse o oggetti preziosi, libri di conti o atti di proprietà, corone e scettri.

- Il secondo si riferisce ai passatempi e alle frivolezze quali dadi, carte da gioco, strumenti musicali, boccali di birra o bicchieri di vino, fiori recisi, denaro, gioielli, cristalli e specchi.

- Il terzo indica specifici oggetti che significano il passare del tempo: orologi, clessidre, bolle di sapone, rose sbocciate, foglie appassite, frutti con il baco, teschi, ossa, candele spente, animali squartati o imbalsamati, del cibo avanzato nel piatto, pipe spente e polvere accumulatasi sugli strumenti musicali.

- All'ultimo gruppo appartengono anche simboli della vita nell'aldilà: un tralcio di edera o un ramo d'albero.

Altre tematiche vengono spesso associate alle vanità, come i riferimenti alla vita di San Girolamo e quelli attinenti alla "Melanconia o malinconia".

Edited by bluette - 31/3/2005, 22:44
 
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bluette
view post Posted on 8/5/2005, 23:40     +1   -1





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"...siamo noi fatti così da dover bere la morte a piccole dosi, quotidianamente, per conservare il gusto della vita? E di quale natura è la morte e di quale natura è la vita? Avendo atteso per più di mezz'ora una risposta a queste domande, e non vedendone giungere alcuna, proseguiamo il nostro racconto..."

Virginia Woolf, Orlando





Edited by bluette - 9/5/2005, 00:55
 
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bluette
view post Posted on 12/5/2005, 22:18     +1   -1





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Assassinio di Marat
di Jacques-Louis David, 1793



Edited by bluette - 12/5/2005, 23:55
 
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bluette
view post Posted on 12/5/2005, 22:51     +1   -1






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Tutta la corrida è basata sul coraggio del toro, la sua semplicità e la sua mancanza di esperienza.
C'è modo di combattere tori vigliacchi, tori esperti e tori intelligenti, ma il principio della corrida, la corrida ideale, presuppone nel toro coraggio e un cervello sgombro da qualunque ricordo di un lavoro precedente nell'arena.
Un toro vigliacco è difficile da combattere perché non carica i picadores più di una volta, se viene ferito, e così non viene rallentato dai colpi che riceverebbe e dallo sforzo che farebbe, e di conseguenza non si può seguire il piano regolare di combattimento, perché il toro giunge intatto e veloce all'ultimo terzo della lotta a cui dovrebbe giungere col ritmo rallentato.
Nessuno può esser certo della carica di un toro vigliacco. Spesso si allontana dall'uomo invece di avvicinarglisi, ma non si può contare che faccia sempre così ed è impossibile un lavoro brillante, a meno che il matador abbia scienza e bravura sufficienti da avvicinarsi al toro in modo da renderlo fiducioso e lavorare sul suo istinto contro le sue inclinazioni e poi, dopo essersi fatto caricare qualche volta, lo domi e quasi lo ipnotizzi con la muleta.
Il toro vigliacco sconvolge l'ordine del combattimento perché vìola la legge dei tre gradi attraverso cui dovrebbe passare un toro nel procedere dello scontro tra toro e uomo; i tre gradi che costituiscono l'ordine della
corrida.
Ogni atto della corrida è insieme il risultato e il rimedio di uno dei gradi in cui si trova il toro, e quanto più vicino esso è alla normalità e meno esaltata è la sua condizione, tanto più brillante riuscirà la corrida.

Le tre fasi della condizione del toro durante il combattimento, si chiamano in spagnolo levantado, parado e aplomado.
Si chiama levantado o altezzoso quando entra nell'arena a testa alta, carica senza guardare niente e in genere tenta, fiducioso della sua forza, di sbarazzare l'arena dai suoi nemici. E' in questo momento che il toro è meno
pericoloso per il torero e una torero può tentare di farlo passare con la cappa perfino inginocchiandosi a terra sulle due ginocchia, aizzando il toro con la cappa sciorinata nella sinistra e poi, quando il toro arriva alla cappa e abbassa la testa per colpirla, facendo oscillare la cappa con la sinistra verso la destra, senza cambiar posizione alla mano destra in modo
che il toro, che sarebbe passato alla sinistra dell'uomo inginocchiato, segua lo svolazzo della cappa e passi a destra.

Ernest Hemingway, Morte nel pomeriggio, Mondadori, traduzione di Fernanda Pivano, pp. 156-157




Edited by bluette - 13/5/2005, 00:04
 
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bluette
view post Posted on 12/5/2005, 22:52     +1   -1





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Edited by bluette - 13/5/2005, 08:22
 
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bluette
view post Posted on 18/5/2005, 23:23     +1   -1






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L'animale teme la morte perché vive,
anche l'uomo e perché gli è ignota.
Solo a me è dato di temerla
con orrore perché conosco tutta la sua
estensione e il suo mistero, perché misuro
la sua infinita oscurità.
Non che la conosco, certo, o la capisco;
ma come nessun altro io misuro e so
tutta l'estensione del suo mistero negro.
Non furon fatte per questo mio dolore
parole che lo esprimono,
né sentimento che lo senta in quanto tale.
Pena che trascende verbo e sentimento
di cui Orrore è soltanto l'apparenza
dell'esterno pensabile e sensibile.
Indefinibile profondo sentimento
che mi scappa quando io mi appresto
ad analizzarlo e lascia solo un'ombra
della fantasmatica luce fatta di buio
alla quale devo chiudere gli occhi del mio animo.
Perfettamente entra l'orrore nell'animo,
ma un animo non può essere contenuto in questo orrore.
oltre la banale paura del supremo annullamento
c'è l'accettazione epica della morte,
e al di là di entrambe, questo smarrimento d'anima
in un oscurato e lucido terrore.
...
Il segreto del Cercare è che non si trova.
Eterni mondi, infinitamente,
gli uni negli altri; senza fine decorrono
inutili. Noi, Dei, Dei di Dei;
in essi intercalati e perduti
neppure noi stessi nell'infinito troviamo.
Tutto è sempre diverso, e sempre avanti
agli uomini e agli Dei va l'incerta luce
della verità suprema.

Fernando Pessoa, Faust, Einaudi, 1991




Edited by bluette - 20/5/2005, 22:37
 
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bluette
view post Posted on 20/5/2005, 23:00     +1   -1





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