| Nelle parole straniere, per lo più inglesi, che hanno invaso la nostra lingua ce n'è una che impazza alla grande negli ultimi tempi. Endorsment. Parola che ha vari significati, ma che viene usata per esprimere una particolare approvazione per una persona. E i nostri commentatori politici se ne sono impossessati. Ma pare che non riusciamo a fare a meno dell'uso di termini inglesi nella nostra vita quotidiana. Anche a costo di scadere nel ridicolo, come avviene spesso, ad esempio, nell'informatica. Chi sa con precisione cos'è un server o cosa significa client? Eppure ce li ammanniscono in continuazione. Passi per l'hard disk, il floppy, il mouse. Ma poi abbiamo la cache, hardware e software, il bluetooth, il firewall, il firewire, l'airport, il modem, il framework. E chi sa cos'è il firmware? Tutti usiamo il wireless, il monitor e non possiamo fare a meno di più device. Voi quante device avete collegate in wireless al vostro personal computer? E ormai sono nel linguaggio comune baby sitter, la spending review, il cast di un film, le slide, lo slogan, lo sponsor, il fax, lo start-up, la star, la perfomance, la lobby, il black out, lo smog, il week end, il surf ed il windsurf, la boxe, il football, il volley ed il basket, il best seller, l'hobby e lo skipper, e poi trust, antitrust, default, exit poll, management, mission, welfare, vision, austerity, fiscal compact, spread. Chi non ha mai pronunciato boomerang, bazooka, bungalow. Chi non scrive un post, una e-mail o un thread? E ci avviamo a sentire spesso nei prossimi giorni parale di election day, bipartizan, appeasement, devolution. Oppure vogliamo parlare di bond, downgrade, outlook, rating, swap, cash flow, dumping, green tax, haircut, stress, test e stress test. Le bluechip, la mailbox ed il juke-box, il web, la chat, l'home page, l'hinterland, l'hotel, il workshop e via a più non posso. Eccheppalle. E se tornassimo a parlare italiano?
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