Vabbeh... Eccolo.Il travestito non era granché, aveva le labbra deformate da ripetute iniezioni di silicone mal riuscite. Sembravano una ventosa o la bocca estensibile di certi orribili pesci abissali. Non importava: a lui i travestiti non piacevano,aveva sempre peferito le classiche puttane, questo lo aveva scelto un poì a caso, sul rondò non troppo distante da casa sua.
L’importante è che aveva una battuta di dire che l’ossessionava. Doveva dirla, doveva dirla a qualsiasi costo.
Le ordinò di togliersi i pantaloncini attillati, indicando il pacco che li rigonfiava oscenamente. Il tizio non collaborava, bamboleggiava, prendeva tempo, si guardava intorno. Fuori pioveva e forse voleva approfittare di quei pochi momenti al coperto che lo aspettavano. Non doveva essere molti a portarselo -portarsela proprio non gli veniva- a casa.
“Insomma -gli chiese, indicando col dito, alla fine- Cos’hai là?
“Ma la mia topina!
Finalmente l’aveva detto. Non aspettava altro..
“No, tu non ce l’hai la topina. Ce l’ho io la topina.
Il travestito rise, una risata che voleva essere sexy ma assomigliava al suono di un lavandino che si sgorga.
“Ma sei matto? Come fai ad avercela?
“Eccola la mia topina! –Esclamò lui trionfante. Ed aprì un cassetto del comodino. Una femmina di ratto di almeno un chilo sporse la testa dai baffi frementi. Squittì.
L’altro cacciò un urlo spaventoso, che toccò tutti i gradi della scala tonale accessibile agli esseri umani e qualcuno di più. Cercò di fuggire, ma i pantaloncini che si era appena sbottonati gli scesero lungo le gambe impaniandolo. Se ne liberò con un calcio ed uscì dalla porta, nudo a metà, continuando a gridare.
Si sentì il suo urlo allontanarsi progressivamente, amplificato dalla particolare acustica delle scale e dell’androne. Lui rideva, rideva, rideva.
Probabilmente si era sputtanato per sempre di fronte all’intero vicinato, ma non importava: aveva detto la sua battuta, si era liberato.
Chissà quanto ne avrebbero riso, gli amici, la sera.
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Che così me ne vado a dormire.