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Il miglior post del 2009, Si vota fino al 31-1-10

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view post Posted on 9/1/2010, 08:51     +1   -1
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CITAZIONE
Agosto:


TANTALO

Non ridete, ve lo chiedo per favore, facciamo un patto. Mi ascoltate in silenzio, senza commentare, perché questa è una storia triste. C’è un morto. E quel morto sono io. Mi chiederete cosa ci faccia io qui, se sono morto. Perché non me ne stia tranquillamente in una tomba, insieme ai miei simili al cimitero. Ma io sono morto dentro.

Immaginate di essere sorpresi, la mattina delle vostre nozze, accanto alla chiesa, dai genitori della sposa. Vestito da donna, con la gonna tirata su, con una gallina tra le braccia. E che questi, i genitori della vostra sposa, persone severe ed all’antica, vi guardino con commiserazione e poi lui dica: “Povera gallina!”

Ecco, se fosse successo solo questo, un po’ di vita mi sarebbe rimasta. E voi potreste ridere, magari in modo contenuto e senza troppo clamore. Potreste ascoltarmi mentre vi spiego le complicate vicende che mi avrebbero portato ad una simile, ridicola, situazione. Vicende improbabili ma che pure accadono. Concatenazioni di coincidenze che, messe in fila, proverebbero la mia assoluta innocenza. A cui non credereste, certo, ma che io potrei raccontare a me stesso. E forse riuscirei a convincermi.

Ma non è andata così. Nemmeno la caduta di Lucifero, dai vertici del cielo allo sprofondo dell’inferno, da principe degli angeli a re dei demoni, è stata altrettanto repentina e clamorosa. Non ridete del paragone, certamente eccessivo, abbiamo fatto un patto. Ero un giovane di così belle speranze… Non bello, lo riconosco, non troppo alto e nemmeno elegante, per colpa dei miei capelli precocemente radi, ma pieno di vita e di potenzialità.

La potenzialità di un bruco, bruno e cosparso di peli urticanti, di diventare un magnifico insetto adulto e colorato. E che, dopo la muta, scopre di essere una cimice, che si aggira tra le lenzuola di un letto sfatto e poco pulito, dove altri si sono divertiti in acrobatici accoppiamenti che voi potete solo immaginare. Dato che avete passato la notte a cercare di non essere accidentalmente ucciso da un braccio o da un ginocchio violentemente agitati.

Terrorizzato ed insieme roso dall’invidia. Perché lo so cosa fate voi, cosa farete più tardi, nelle vostre stanze o nelle vostre macchine automobili dai sedili ribaltabili. O magari sui pavimenti delle vostre cucine. Vi vedo! Sembrate un gruppo di individui, più o meno anonimi, delle monadi capitate qui per caso, ma vedo i fili sottili che vi uniscono, a coppie, a terzetti e magari a gruppi ancora più numerosi e misti. E già state pensando alle posizioni che assumerete, a chi starà sopra o sotto o di lato, a capo o ai piedi del letto.

Un'ininterrotta catena idraulica di persone, collegate tra loro per gl'inguini, per le estremità, per i nasi, per i piedi e per le lingue. Enormi poppe che tremolano come budini, natiche che si contraggono e si rilassano ritmicamente, liquidi di ogni genere che si riversano inondando superfici rigide o elastiche, piane o curve, lisce, rugose o pelose come velluto liso mentre odori e vapori oscurano le vetrate e risuona un canto, una sinfonia di rumori succhianti, schioccanti, ansimanti e la temperatura sale facendo sprizzare il sudore.

Una catena che si intreccia e si spezza per poi ricongiungersi in nuove combinazioni sempre diverse, formando figure geometriche e nodi e cumuli, cumuli sempre più alti e vibranti, che toccano il soffitto di quello che potrebbe essere un capannone industriale dismesso grande come il mondo. E quando il cumulo ha raggiunto il massimo della sua precaria estensione verticale crolla ed io, sotto all'ammasso, vorrei finire spiaccicato e felice.

Perciò non dovete ridere, perché di tutto questo non ho avuto niente se non il maledetto lavorio della mia fantasia forsennata. E ormai credo, nulla avrò mai. Nemmeno con le galline. Povere galline!

Le galline non mi hanno fatto niente ed io vorrei non aver fatto niente a loro. Sono animali simpatici, hanno una loro intelligenza ed eleganza di comportamento, gerarchie sociali nettamente definite. E sono coperte di piume e di penne, senza neanche un pelo. I maschi, che si chiamano galli, cantano tutto il tempo, non solo all'alba come comunemente si dice mentre le femmine fanno le uova e chiocciano. Chiocciano ininterrottamente tra loro.

Quando le si spiuma la loro pelle non è liscia ma -Come posso descriverla?- Bruzzolosa, coperta di mille puntini in rilievo, quella che di solito si chiama “pelle di pollo” ed è un nome che rende perfettamente l'idea.

Poi vengono smembrate e suddivise ed una loro parte costituisce quel petto di pollo che forma, cotto in padella, il mio pasto quotidiano. Perché è facile da preparare e non è necessario essere grandi cuochi per farlo. Tutti i giorni, ormai, da quando è successo quello che è successo ed ho perso la speranza di una moglie capace di prepararmi succosi manicaretti, quando torno a casa dal lavoro.

E ciò che è avanzato alla sera diviene al mattino la mia prima colazione. Petto di pollo, si. E pane. Il sabato lavo la padella e compro, al supermercato, una confezione famiglia nuova che mi basterà per la settimana successiva. E se la carne finisce il Venerdì, o la Domenica, è lo stesso. Tanto tutti i giorni sono uguali, più o meno. E i supermercati sono sempre aperti,

Gli altri uccelli non mi interessano. Per la maggior parte volano e questo mi inquieta.

Intendiamoci, non è il volo in se che mi fa paura. Almeno credo, perché non mi è ancora capitato di prendere l'aereo. Ne avrei avuto l'occasione diverse volte, ma è sempre successo qualcosa che ha mandato all'aria i miei piani di volo. Sono arrivato in ritardo, oppure avevo dimenticato a casa i documenti, una volta ho sbagliato aeroporto... Cose che capitano a tutti, una volta o l'altra.

A me, non ridete ma capitano sempre, immancabilmente. Una volta dovevo partire per una vacanza con la mia fidanzata... Beh, ex fidanzata... E mi prese un febbrone terribile, mi coprii di orride macchie rosse. E si che suo padre avrebbe voluto che prendessi il brevetto di pilota. Mi ci vedete a me pilotare un aereo? Il nuovo Barone Rosso, proprio!

Volare... Oh oh.
Cantare... Oh oh oh.
Nel Blu, dipinto di Blu.
Felice di stare lassù.


No no, quello che mi disturba è ciò che possono fare gli uccelli quando volano... Che mi insozzino il cibo, come a Tantalo... La sapete, no, la storia del supplizio di Tantalo? Era il re di un qualche posto... Goloso, molto goloso... Così quando morì gli dei gli fecero uno scherzo. Ogni giorno gli preparavano un succulento banchetto poi arrivavano le Arpie e gli insozzavano i cibi, impedendogli di mangiarli.

Ma cosa voleva dire “insozzare i cibi”? Per anni me lo sono chiesto. Pensavo, che sò, che li mischiassero tra loro... Il cervo brasato rovesciato sulle trote al miele, le mele cotte con lo zenzero impastate col cinghiale all'aneto, l'aceto aromatico nella coppa del vino dolce, il gelato insieme alla salsa all'aglio... Trasformando l'ordinata sequenza dei piatti con i loro bei colori in un miscuglio marroncino ed immangiabile. O forse portavano tra le zampe paglia e terriccio scaricandoli sulle pietanze. Ma avevo sempre l'impressione che qualche dettaglio mancasse.

Poi ho capito. Le Arpie, pur avendo bellissimi volti di donna, sono essenzialmente degli uccelli. E gli uccelli cagano dall'alto come minuscoli bombardieri. Oddio, non tutti proprio minuscoli, mi immagino cosa possa fare un avvoltoio con le sue feci. E le Arpie dovevano essere degli uccelli piuttosto grossi per sostenere una testa delle dimensioni di una testa umana.

Povero, povero Tantalo, come lo capisco. Tra tutti i personaggi delle leggende e delle favole è quello che sento più vicino. Anche lui è caduto, come me, caduto nella stessa sostanza che qui è inutile precisare. Ma lui deve essersi divertito più di quanto mi sia divertito io, almeno finché è stato re. E non vorrei che ora entrasse dalla finestra un piccione con il volto della mia ex fidanzata ad insozzarmi il mio misero petto di pollo quotidiano.

Lei non si arrabbiò mica quando le dissi che non potevo partire. Non potevo pensare di sdraiarmi su di una spiaggia, a prendere il sole, con la pelle simile alla mappa di un arcipelago roseo, rosso e violaceo. Sospirò, mi disse di raggiungerla quando fossi guarito, con l'annoiata comprensione di chi già si era aspettata qualcosa del genere. Di chi è nata aspettandoselo.

E passarono solo due giorni quando la chiamai al suo cellulare, misteriosamente e, quasi fulmineamente guarito, ma lei mi disse di non partire. Era meglio che mi curassi per bene che c'era la possibilità di ricadute. Ci saremmo rivisti al suo ritorno, da lì ad un paio di settimane. Insistetti, com'è ovvio, come avrebbe fatto chiunque, come avreste fatto anche voi che sogghignate di nascosto ed io lo so il perché.

Le mie insistenze la resero categorica. Non l'avrei trovata nel posto dove avevamo convenuto di passare quei giorni insieme. Si spostava, si era... Si era unita ad una comitiva conosciuta sull'aereo... Una comitiva... Con quanta gente mi tradiva? Non poteva accontentarsi di un bagnino? No, una comitiva! La salutai con finta allegria e poi piansi. Si, piansi, come non facevo da tempo.

Mi dissi che la perdonavo, non era vero, non del tutto. Qualcosa mi rodeva ma non sapevo bene cosa. Mi chiusi in casa perché si ignorasse che non ero partito e vi rimasi due settimane e quando rispondevo al cellulare facevo finta di essere in un posto bellissimo, pieno di sole e con il mare azzurro e il cielo limpido, bevendo bevande di cui conoscevo solo il misterioso nome, tra gente simpatica ed allegra per la quale inventavo buffe caratteristiche fisiche e comportamentali, nello scopo di apparire credibile. Ho sempre avuto una terribile fantasia in queste cose, io.

Lei non chiamò mai. Aspettavo, speravo che, da un momento all'altro, il telefono squillasse e, portatolo alla guancia, sentissi il suo “Coccodè!” Si, il suono che fa una gallina quando ha deposto l'uovo. Potete anche ridere qui, un poco, senza esagerare, perché era uno scherzo, uno scherzo tra noi. Io le facevo “Chicchirichì!” e lei “Coccodè!” e andavamo avanti per un po', divertendoci moltissimo.

Poi lei si accucciava fingendo di aver fatto l'uovo ed il divertimento finiva. O almeno questo succedeva le prime volte, poi si stancò, un bel gioco dura poco. In seguito ho tentato spesso, specie se la vedevo di cattivo umore, di risollevarle il morale, con un chicchirichì stentoreo, all'inizio e poi via via sempre più timido e sommesso. Sperando di riprendere il vecchio gioco. “Non esser ridicolo”, mi disse una volta. Come se mi fosse possibile evitarlo.

Fu probabilmente per colpa di quel gioco se mi trovai in quell'assurda situazione, il giorno del mio mancato matrimonio, vestito da donna, con il bordo della gonna agganciato alla cintura perché stesse su ed una gallina tra le braccia. Sorpreso dal padre della mia fidanzata a cercare di spiegargli la ragione di un simile comportamento balbettando. Non fui affatto ridicolo quella volta: nessuno rise. Almeno non apertamente. “Povera gallina” Disse. Ma questo successe solo qualche tempo dopo.

La realtà, però, devo essere sincero, è che fu tutta colpa degli amici, dei miei amici o cosiddetti amici. Gli amici! Non fatevene, di amici! Sono capaci di rovinarti la vita come nessun altro al mondo. Io di nemici, di nemici veri, non ne ho mai avuti... Ma gli amici sono sicuramente peggio. Delle sanguisughe, pronti a voltarti le spalle o attaccarti alle spalle se tu le volti a loro.

Se la spassano, gli amici, fanno la bella vita ma, chissà perché, cominciano sempre un attimo dopo che tu te ne sei andato a dormire. E poi te lo raccontano, per di più. Nei dettagli. Per renderti partecipe, dicono. Che vadano a puttane, gli amici. O almeno che ti portassero con loro quando ci vanno.

Io sarei stato per loro solo la persona giusta da spogliare ad un tavolo da poker. No, tranquilli, non ho mai avuto il demone del gioco. Oppure non lo avevano i miei amici, fatto sta che non giocavano mai. A quel gioco, giocavano ad altro. Ma io non conoscevo le regole, ecco, se delle regole vere e proprie esistevano. E quanto allo spogliarmi, forse mi vergognavo troppo.

Non ridete di questo, ma non ho mai partecipato ad una delle loro partite di calcetto perché mi vergognavo all'idea di spogliarmi e farmi la doccia davanti a tutti. Sarebbe stato come strapparmi le penne e le piume. Una ad una. Un tempo, una volta, lo si faceva con i polli, da vivi, perché così vengono via più facilmente. Poveri polli.

Ma tanto, visto che sono morto, anche se mi spiumassero vivo non mi farebbe più alcun effetto. Potrei spogliarmi tranquillamente davanti a voi, nudo! Aprirmi la camicia e mostrarvi il mio petto... Piumoso!

Avreste anche potuto ridere, qui. Era una battuta, naturalmente. Ma è sempre andata così, con i miei amici: mi trovavano molto divertente, purché non cercassi di raccontare una barzelletta. Allora diventavano terribilmente seri, come ad un funerale o peggio. E cercavano di spiegarmi dove avessi sbagliato nel raccontarla. Mi criticavano, si scoprivano tutti critici. Cosa c'è di peggio quando invece di ridere qualcuno ti fa un'elaborata disamina della tua barzelletta?

Eppure erano i miei amici, nonostante le cose acide o amare che vorrei raccontare di loro, nonostante l’aspetto verminoso in cui mi appaiono oggi quando cerco di visualizzarne le sembianze. Eravamo cresciuti insieme, chi più chi meno. Magari qualcuno di loro è qui, fra voi, in incognito. Perché erano come voi, non come me. Persone comuni eppure ciascuno con le sue particolarità che lo rendevano completo.

Bruno che raccontava un sacco di balle, ma lo faceva senza la pretesa di essere creduto. Toccava a te trovare quello che c'era di vero nelle sue storie, un po' di verità c'era sempre.
O Carlo, sempre in ritardo nel comprendere un discorso, poi lo capiva meglio degli altri, anche se era sempre troppo tardi. Amava le giacche a quadrettoni e parlava guardando in alto, come ispirato.

E Aldo, con l'aria da nobile, e le sue donne che cambiavano sempre ma me le presentava dicendo che erano sempre la stessa. Ragazze timide o sfrontate, magre o in carne ma sempre bellissime a cui non potevo accostarmi senza un “Guardare e non toccare!” detto in tono pacato ma ultimativo. Ed io ubbidivo.

Chissà ad incontrarle ora se si lascerebbero toccare, è probabile che qualcuna di loro sia seduta tra voi, senza Aldo accanto. Ma come esserne sicuro? Le donne, alla fin fine, sono tutte uguali. Almeno per ciò che conta. Questa era la lezione, ma che cos'è che contava? Ero sicuro che un giorno l'avrei capito.

L’avrei capito al tatto, se non alla vista. Ma toccare mi era vietato.

Eppure una donna me l'ero trovata, alla fine. Una donna vera, mica un'oca qualsiasi, che io le oche le odio peggio che i galli sul Campidoglio! Una donna di classe. Potevo anche toccarla, nei dovuti limiti, ovviamente. Ed ora l'ho perduta per sempre.

Insieme al mio lavoro, perché lavoravo per suo padre e nemmeno lui mi può più vedere, ma lo capisco. E' un uomo tutto d'un pezzo, il portamento di chi è stato militare, la pacca sulle spalle facile e violenta. Fu lavorando per lui che la conobbi, e lui trovò che fossi la persona giusta, per farle mettere la testa a posto. Quella testa troppo piena di fisime, come la descriveva, eppure così bella.

Spesso immobile, mi seguiva con lo sguardo, senza girare la testa se non quando i miei movimenti frenetici tutto intorno non la costringevano a farlo con uno scatto secco. Era capace di uno sguardo laterale sempre pieno di una vaga disapprovazione. Forse era preveggenza.

Comunque ci fidanzammo, con l'approvazione dei parenti. La sognavo la notte, immaginavo il momento in cui l'avrei deposta nel nostro nido d'amore. I materassi ed i cuscini sarebbero esplosi ricoprendoci di una nuvola di bianchissime piume. Ed in mezzo a quelle piume, continuamente agitate e sollevate dai nostri movimenti, ci saremmo amati e, finalmente, sarei stato un uomo.

Non un povero pollo qualsiasi.



Avrei voluto essere come suo padre. Intendiamoci, non è che avrei voluto essere suo padre, perché in quel caso le convenzioni mi avrebbero impedito di fare con lei tutte le cose che immaginavo di fare nelle mie notti insonni, la morale va rispetta. Non avrei nemmeno potuto immaginare, in quel caso, di fare tutte quelle cose, perché sarebbe stata mia figlia.

Però avrei voluto assomigliargli, a suo padre, quell'uomo un po' all'antica, dalle idee molto ben definite e solide... Come dire? Immutabili. Almeno in apparenza, perché poi, su di me, le mutò, eccome! Un uomo dal portamento un po' impettito, come di chi, per gran parte della sua vita, abbia indossato una divisa ma capace di risate improvvise ed esplosive e di complicità tremendamente imbarazzanti.

Un uomo che sapeva pilotare aerei e fare affari con paesi lontani ed esotici. E ricavarne sempre un mucchio di soldi. Dicono che tradisse la moglie, povera donna, spesso e con altre donne di ogni tipo e condizione... Dicono... Era lui a dirlo, se devo essere sincero. Si vantava, specie dopo un bicchierino di grappa. Ma lo faceva con stile, perché era un uomo all'antica, e sua moglie, che io avrei voluto chiamare mamma, ignorava o sopportava. Come devono fare le donne all'antica, dopotutto.

Però amava sua figlia, di un amore profondo quanto quello che provavo io stesso per lei. Con lei, però, non avrei potuto comportarmi come lui faceva con sua moglie. Perché la figlia non era una donna all'antica, non avrebbe ignorato ne sopportato e me lo fece chiaramente capire: sarebbe stata l’unica ovaiola del mio pollaio.

Chicchirichì! Coccodè! Chicchirichì! Chicchirichì!
Ignoravo che il fattore fosse già pronto con la doppietta per ricordarmi quale fosse l’ora giusta per cantare. E, soprattutto, quale fosse quella sbagliata!

Pum!

Era gelosa. Ed io indossavo la sua gelosia come un rigido vestito da sera nero, una buona scusa per defilarmi quando i miei amici si accingevano ad andare nei posti dove non mi avrebbero portato mai. O almeno credo che non mi ci avrebbero portato, perché proprio allora cominciarono a tentarmi. Dicevano di vedere le catene stringersi intorno a me e mi invitavano a sciogliermene. Lei li detestava e, a sua volta, tentò di separarmi da loro.

Mi sentivo come un elastico tirato in due direzioni ma resistevo, tenace. Ascoltando una volta l'una ed una volta gli altri ma, non ridete di me per questo, senza mai cedere completamente né in una direzione né nell'altra. O meglio: cedendo di volta in volta all'una o all'altra forza traente. E questa fu la mia rovina.

Fu quindi un loro scherzo crudele a spingermi, quel mattino troppo limpido, troppo luminoso per la notte buia che lo aveva preceduto, ad indossare quella gonna troppo lunga per le mie tozze ed impacciate gambe? Se così fosse potrei perdonarmi, la colpa, riuscite a capirmi? Non sarebbe mia, non del tutto, almeno. Avrei avuto almeno diritto alle attenuanti generiche.

Voi che siete i miei giudici ed il mio tribunale, me le avreste date le attenuanti generiche? Forse, ma c’era quella gallina. Quella povera gallina… Coccodè… Chicchirichì… E avevo bevuto troppo, in quella notte di addio al celibato.

E come dovrebbe comportarsi un povero disgraziato dalla vescica piena da scoppiare, una gallina che si agita, come conscia del suo destino, tra le braccia, ed una gonna troppo lunga da sollevare? Dove deve metterla, quella povera bestia da cortile? Certo non può lasciarla andare, comincerebbe a correre starnazzando per ogni dove… Forse fino a nascondersi nella chiesa per rovinare la cerimonia!

Beh, c’è riuscita comunque molto bene, anche senza scendere a terra. Non che possa fargliene davvero una colpa. Mica si può fare affidamento su di una gallina per la riuscita di una cerimonia, ci vuole ben altro. Ci vuole un prete, dei testimoni, un ristorante o un buon servizio di catering. Soprattutto ci vuole una sposa.

Ma è tutto molto confuso… Sapete, io non reggo bene l’alcol, non ne sono mai stato capace. Si dice che il vino ci cavi fuori la verità… A sapere quale essa sia, però, e questo a me non è affatto chiaro, non lo è ancora oggi. E poi non si trattava di vino ma di birra… Con l’aggiunta di qualche bicchierino di un liquido limpido come l’acqua ma che acqua non era, questo è ciò che ricordo, poi il buio.

E infine di nuovo la luce del sole, il ciclo eterno del giorno e della notte riassunti in un istante. E la gente tutta intorno a me come in un anfiteatro ad additarmi ed ad assistere al concludersi di una tragedia. Forse se adesso avessi qualcosa da bere riuscirei a ricordare ed a raccontarvi tutta la verità e nient’altro che la verità.

Dopotutto ora non indosso una gonna, ho un normale paio di pantaloni con una normalissima chiusura lampo, quella che volgarmente si chiama una zip. Ed ho le mani libere. Ma è meglio che non lo faccia, vero? Come potrei pretendere poi che non ridiate, se ve la mostrassi davvero questa verità? E comunque non ho bevuto. Certo la tentazione è forte, dove lo ritrovo più un pubblico così attento?

Lo prometto, terrò lo zip tirato su, a meno che non si rompa e decida spontaneamente di scendere. Sono cose che capitano, quando uno meno se le aspetta. Ma bisogna aspettarsele, certe cose, certe cadute. Bisogna aspettarsele sempre. Meno uno vorrebbe che succedessero, meno la situazione appare appropriata, più succedono. Lo so ben io, questo.

Perché non vi ho ancora detto proprio tutto… Le cose non stanno esattamente come vi ho raccontato finora… Ma lo avevate già capito da soli, no? Sono sicuro che siete persone intelligenti, capaci di intuire i sottintesi che a me sono sempre apparsi inspiegabili. Di certo leggete gialli, o, quantomeno, la Settimana Enigmistica.

Quel giorno, quel matrimonio, era una finzione… Una finzione per la gente, ci eravamo già sposati il giorno prima. Non in chiesa ma di fronte al sindaco di un paesino, un paesino qualsiasi. Certo, a modo suo un bel paesino, di quelli in cima ad un colle con vista, lontana, sul mare. Con una bella chiesetta ed un intimo cimitero.

E, quella notte, non l’avevo passata con gli amici, in una squallida cerimonia di addio al celibato. Dove sono gli amici quando più avreste bisogno di loro? Si defilano, scompaiono, hanno altro da fare che salvarti. Begli amici che ho! O meglio: che avevo.

Ero con lei, quella notte. La mia notte, che fosse la notte prima delle nozze o quella subito dopo, non importa: la mia notte, con lei, in una stanza d’una pensione per gitanti estivi, anche se non era estate. Ci facemmo portare da bere, credo per vincere l’imbarazzo.

Mi fece firmare qualcosa e, mentre cercavo timidamente di poggiare le mani sulle sue spalle, il suo tono cambiò. Mi disse di guardarla bene, da una certa distanza, e lo feci volentieri, perché era molto bella. Mi disse di guardarla perché era l’ultima volta che l’avrei vista. Si spogliò, mi sentii svenire.

Poi prese a rivestirsi e mi disse: “Siamo sposati, per la legge. Ora ciò che è mio è tuo e ciò che è tuo è mio”.

E ciò che era mio, ed ora diventava suo, erano la mia casa, proprietà di famiglia, il mio conto in banca, abbastanza nutrito di suo, benché suo padre non mi avesse mai corrisposto un vero stipendio, la mia automobile sportiva… Tutte cose a cui non ero realmente affezionato e di cui le avrei fatto volentieri dono, se me l’avesse chiesto.

Di suo c’era solo quell’abito da sposa, che era appartenuto a sua madre. L’unica cosa che fosse sopravvissuta ai debiti che avevano travolto le finanze della sua famiglia. Quando ebbe finito di vestirsi se ne andò. Tutto girava intorno a me, e intorno a quel poco che ero riuscito a vedere… Niente piume, naturalmente… Solo…

Rimasi inebetito, credo. Forse bevvi ancora, cercando di calmare quel pulcino che immaginavo si agitasse forsennatamente nel mio petto. O forse non era esattamente nel petto ma da un’altra parte. Non importa: sempre di un pulcino che si agitava doveva trattarsi.

Alla fine mi vestii, indossai quella gonna troppo lunga, bianca, piena di merletti, molto fuori moda, devo dire, ma allora non ci feci caso. La gonna del suo vestito da sposa. E mi nascosi il volto col velo, per la vergogna. Corsi fino alla chiesa, che non era lontana: il paese era piccolo. Corsi fino alla chiesa, il mare, sullo sfondo, era tranquillo e, naturalmente, non c’era nessuno, non gli invitati, non il prete con il chierichetto, non mia moglie… Perché avrebbe dovuto essere là? Eravamo già sposati!

C’era solo il sole troppo luminoso del mattino, ed il paesaggio era incantevole ma morto. Perché io ero morto e gli odiosi uccellini cinguettavano la mia marcia funebre, deridendomi.

“Cip cip –dicevano- T’è andata proprio di merda. Eh?” E si azzuffavano gli uni con gli altri, passeri contro passeri, merli contro merli, corvi contro corvi in un frastuono infernale. Sembra impossibile che esseri così leggiadri, in apparenza, siano preda di simili, violente, furie.

Volavano ovunque, riempiendo l’aria come mossi da un turbine di vento inarrestabile. Per fortuna nessun banchetto era in programma, benché il conto per un centinaio di coperti mi fosse stato già, preventivamente, presentato. Mi parve di vedere anche un avvoltoio o due e, certamente, le arpie erano pronte a lanciarsi sui cibi per insozzarli. Chissà che delusione, per loro.

E c’era mio suocero. Perché non avevo una moglie, non più un soldo, non più una famiglia o una vita mia, ma avevo un suocero. E questo suocero aveva in mano una scatola di cartone, poco più grande di una di quelle che, solitamente, contengono delle scarpe, con il coperchio traforato da buchi disposti a casaccio.

La aprì senza alcuna spiegazione preventiva, la aprì e dentro c’era lei: la gallina. Povera gallina! Me la porse e mi disse semplicemente: “Ora puoi sfogarti”

Ed io lo feci, si. Feci quello che sognavo da tempo. E, per un attimo, fu splendido… Splendido! Voi non potete capire! Anni di desideri repressi e di piani contorti per arrivare a quel punto… Voi con i vostri accoppiamenti aggrovigliati, i vostri peli crespi, i vostri seni pallidi e traslucidi, i vostri testicoli penzolanti ! Ed io ero lì, sotto il sole del mattino ed il senso del divino del mondo che mi pervadeva tutto come fuoco sotto la pelle. Ma durò poco.

All’improvviso, come svoltando da dietro l’angolo del nulla, come alla fine di un’allucinazione negativa, comparvero tutti. Gli invitati, i testimoni, il prete e i chierichetti, gli amici, persino! Tutti festanti. La mia suocera e la sposa, che furono le prime i cui occhi virarono dall’allegria ad un’altra espressione che non mi era dato di capire. Quasi cercassero di fingere delle lacrime.

Tutti intorno a me, in semicerchi concentrici come sugli spalti di un antico teatro, un attimo prima di applaudire o deplorare.

E poi tutto finì.

CITAZIONE
Settembre

E' là, col ditino alzato, lontana dalla gentaglia.
Da letizia, spica, lara, smilla, pv, ecc.ecc.
Come la bumbum si è chiusa nella sua gabbia col bastone in mano e sputacchia il suo verde catarro.
Coatta nella sua essenza ha cercato di raffinarsi, dandosi l'aria di grande letterata pur avendo fatto le magistrali.
Scrive sempre di tristezze o sesso. Sono le cose che predilige, a parte sputacchiare veleno in giro,
dando a tutti del troll, sicura che sia l'offesa piu' grande.
Secondo me, l'offesa piu' grande, è dare a qualcuno della kissene.

Sguazzano le due oche nel laghetto acido in compagnia dell'essere piu' ributtande ed ambiguo che mai
forum abbia ospitato. Si tollerano a vicenda col tacito accordo di non pestarsi i piedi.

Bla, bla, bla....e quello è cosi', l'altro colà...qua comando io e dico quello che voglio e ti insulto
e poi ti caccio perchè tu non devi rispondere.

Gli occhi, il viso sono lo specchio dell'anima.
Quando vi ho visto su facebook, entrambe, ho capito tante cose.
Non ho visto alcuna dolcezza, nessuna sorriso ma solo ghigni di scarafaggi e acciughe.

CITAZIONE
Ottobre


CITAZIONE
Infine eccomi davvero qua, seduto in un angolo di questa sala, nella casa fantasma, la casa nera, abbandonata da decenni dopo che l’oscuro proprietario uccise la degna consorte per poi suicidarsi. Non prima però di aver fatto man bassa di decine di bambini, torturati e poi divorati, oppure offerti a chissà quale démone. Si, sono arrivato da qualche ora, con tutti gli antidoti contro il nuovo ospite di queste lerce mura. Un vampiro, che inseguo da anni, dopo che mi costrinse a tagliare le teste di amici e amati, da lui morsicati. Si, ti ho trovato infine, Barlow, terribile Barlow, ti ho scovato. Sono le sette di sera, ormai il sole è tramontato e tu non dovresti tardare molto, nel salire da sotto quella fetida cantina.
Ho preso una sedia e l’ho messa in questo angolo, dove mi sono seduto, armato di fucile con pallottole d’argento, aglio, la bibbia, crocefissi, acqua santa, circondato da un cerchio di petali di rosa, tutte sciocchezze, forse, ma l’importante è crederci, e se ci credi tu, ci crede anche Lui. La sala è illuminata da un grosso cero che ho sottratto da una chiesa, e da diverse candele che ho sparso qua e là. Aspetto, so che Lui non tarderà.

Un movimento, una strana distorsione dell’aria, qualcosa mi passa accanto e mi stravolge i sensi, un terrore ancestrale mi spinge ad alzarmi urlando e scappare, ma il mio cerebrum mi tiene incollato alla sedia. So che se mi muovo sono morto, non devo cedere alle urla silenziose che sento ovunque, al senso di mancamento sotto i piedi, sono tutti trucchi, orribili, ma semplicemente trucchi. Non può toccarmi, per ora, e lo sa. Mi passa di nuovo accanto, veloce, rapido in una maniera disgustosa, come un ragno disarticolato e furente. Maledetto, vuole proprio terrorizzarmi, le tenta tutte, corre sulle pareti, si lancia contro di me a velocità folle per poi fermarsi all’ultimo istante, gridando come mille pazzi. Io tengo duro, in mano il crocefisso mi lampeggia, freme e pulsa, e tengo il fucile dritto su di Lui. Infine prendo una testa d’aglio e gliela lancio contro, Lui la evita con fare noncurante ma, per fare ciò, deve deviare dal suo ultimo assalto, e questo, lo so, per il suo Ego gigantesco, per il suo orgoglio sovrumano, vuol dire molto.

Mi odia di un odio tremendo, vorrebbe divorarmi pezzetto per pezzetto, sa che posso rappresentare la sua fine, sa che da anni sono io che lo bracco, rendendo le sue mattine, quando deve stare immobile e nascosto, un ansia perenne. Si ferma di fronte a me e mi fissa, uno sguardo buio ma di fuoco, lo sguardo di un branco di belve bastonate e con la catena al collo, lo sguardo di ignobili ferocie, di un cervello di pazzo rinchiuso in stanze buie, il furore senza nome di tutta la storia più truce dell’intera umanità e oltre. Ma anche, e non devo fare l’errore di dimenticarlo, uno sguardo terribilmente intelligente e scaltro, millenario, capace di astuzie inpensabili, di scavarmi nell’anima e scoprirvi cose che neanche io immagino, e di circuirmi e corrompermi senza che neanche me ne renda conto.

Sta li fermo e mi fissa, in piedi davanti a me, poi…

... improvvisamente di nuovo si allontana, di corsa, muovendosi come una scheggia impazzita, con una rapidità ed agilità da fare invidia al più abile felino... mi guardo intorno nel tentativo di individuarlo, ma è sparito... forse vuole spingermi a cercarlo per cadere nella sua trappola, per sfinirmi, innervosirmi fino a rendermi totalmente vulnerabile. No! Non mi lascerò sconfiggere dalla mia stessa volontà di eliminarlo, di cancellarlo dalla faccia della terra, in nome di quell'odio che sento ardere dentro me, fin quasi a consumarmi.
Rimango immobile, in attesa, sono certo che tornerà... e intanto passano attimi che appaiono interminabili e Lui ancora non si decide ad affrontarmi. Quasi senza accorgermene un urlo mi trafigge la gola, squarciando la coltre di silenzio in cui mi sento avvolto, per intimargli di farsi avanti…
Tutto tace intorno a me, l'odore acre e sgradevole della muffa mi investe le narici, mi ci sono quasi assuefatto, riesco a distinguere le fiamme vive del cero e delle candele sparse per la casa, ma nessuna sagoma... niente di niente!
Mentre rifletto sulla prossima mossa da fare... ecco che ricompare... ancora una volta siamo faccia a faccia, a pochi passi l'uno dall'altro... stringo minacciosamente il fucile tra le mani, lui non si scompone, abbassa appena lo sguardo, poi torna a fissarmi intensamente con quegli occhi iniettati di sangue, in cui vi è qualcosa di tremendamente sinistro e al tempo stesso affascinante... direi quasi familiare... Non... riesco a pensare nè a compiere un movimento anche impercettibile... sono completamente in balìa del suo sguardo di fuoco, come se al mondo non esistesse o contasse altro...
Non può finire così! Io devo reagire... altrimenti sarà tutto perduto... tutto! Chiamo a raccolta insospettabili riserve di energia, avverto il mio sangue pulsare impetuoso nelle vene, libero i miei occhi dall'irresistibile potere ipnotico dei suoi e vedo la sua bocca violacea, dapprima piegata in un ghigno, contrarsi per la rabbia, nella consapevolezza di aver fallito, dopo aver assaporato l'ingannevole illusione di avermi ormai in suo potere.
Prendo la mira e rapidamente premo il grilletto, una, due, tre volte... i proiettili d'argento raggiungono il suo torace, egli indietreggia, lancia un urlo agghiacciante, misto di dolore e di rabbia... finchè non stramazza al suolo sollevando una nuvola di polvere e facendo vibrare le assi di legno marcio del pavimento.
Sgrano gli occhi incredulo... mi avvicino lentamente di qualche passo... è fatta… Mi dico... non faccio neppure in tempo a pensare che è stato più facile del previsto, Lui sorride, solleva le braccia e stringe i pugni, con un balzo si rimette in piedi, si strappa le vesti scure e laddove c'erano i fori dei proiettili ora non vi sono neppure piccole cicatrici.
In preda ad una furia accecante getto via il fucile e ringhiando mi slancio contro di lui, lo colpisco con dei pugni violentissimi al volto, fino a scaraventarlo nuovamente a terra, ma si riprende in una frazione di secondo e si avventa su me, graffiandomi il volto con i lunghi ed affilati artigli; non mi curo del dolore, torno ad aggredirlo con più forza di prima, provo a sferrargli un calcio nello stomaco, ma all’ultimo secondo egli si ritrae e lo schiva, continuando a sorridere come se la mia impareggiabile collera gli procurasse piacere, euforia…e i miei colpi lo rinvigorissero piuttosto che indebolirlo.
Muovendo le mani verso di sè mi fa cenno di avvicinarmi, di attaccarlo… io resto immobile e aspetto che sia lui a riprendere la lotta, con un balzo improvviso mi viene addosso, entrambi rotoliamo sul pavimento tentando di strozzarci a vicenda, nella colluttazione il crocifisso fa capolino dalla tasca della mia giacca, lo vedo esitare, fissare l’oggetto con sgomento, strizzare gli occhi… con uno strattone lo spingo via, egli urla furiosamente, riprendo fiato e torno a scagliarmi verso il mio avversario con inaudita ferocia, non senza tenere davanti a me il crocifisso a mo’ di scudo, ma stavolta la sua reazione mi lascia di stucco: con un gesto repentino ed energico fa in modo che il sacro simbolo mi sfugga di mano finendo a qualche metro da noi, facendo cadere una candela prima di atterrare e prendere fuoco: non potrò più usarlo per proteggermi.
Ciò nonostante, non demordo e seguito a prenderlo a pugni, riesco a coglierlo di sorpresa quel tanto che basta per farlo sbattere contro la parete di fronte e stordirlo, ma il suo stato non dura che i pochi secondi necessari a riprendersi…invece di occuparsi di me, si allontana con movimenti fulminei facendomi perdere le sue tracce.
Osservo attentamente ogni angolo di quell’orribile luogo, volgendomi verso ogni direzione, aspettando di vedermelo riapparire davanti, ma invano.
Mi chiedo cosa avrà in mente…non ho dubbi che cercherà in ogni modo di farmi perdere lucidità per avere la meglio su di me, ma non gli sarà così facile… sono pronto a tutto!
Ad interrompere i miei pensieri il suono acuto di una voce, che sembra provenire dalla soffitta, tendo l’orecchio per ascoltare meglio e… il mio cuore manca un battito, so a chi appartiene…No! Non è possibile…mi sta chiamando!
La prudenza mi suggerisce di non muovermi, ma il richiamo di quella voce è più forte, non posso far altro che cedervi; raggiungo la scalinata in parte crollata, velocemente la supero e mi ritrovo al piano di sopra, di fronte a me una robusta porta di legno a sbarrarmi la strada, esito un istante, quando mi decido a varcarla mi si spalanca davanti come investita da una potentissima folata di vento.
Avanzo lentamente, con circospezione, il posto è buio, ma da una piccola finestra filtra uno spiraglio di luce, dovuto alla luna piena… e ad un tratto la voce che mi aveva guidato fin lì acquisisce un volto, uno sguardo, un corpo la cui visione mi sconvolge e insieme mi rincuora: è lei, è davvero lei… la mia Hannah!
Mi sorride, mi accarezza con quel suo sguardo pieno d’amore, pronuncia il mio nome con la consueta dolcezza… vuole che mi avvicini.
Una parte di me mi suggerisce di non credere a ciò che vedo poiché non è reale… Hannah non c’è più, io stesso ho liberato la sua anima dal tormento delle tenebre, dal dominio di quell’ignobile essere…tagliandole la testa e facendo a pezzi il mio cuore; l’altra mi spinge ad abbandonare ogni reticenza, a lasciarmi andare…perchè lei è finalmente tornata da me…
I suoi occhi verdi incrociano i miei supplicandomi di non rifiutarla… mi muovo verso di lei come un automa, fremendo dal desiderio di toccarla, di stringerla tra le braccia sia pure per un solo, misero, breve attimo… quando ormai i nostri corpi stanno per sfiorarsi un urlo si diffonde nel silenzio, Hannah si copre il viso con entrambe le mani, poiché poco prima le ho bagnato le guance con alcune gocce dell’acqua santa, contenuta nell’ampolla di vetro che conservavo in tasca.
Faccio alcuni passi indietro… mentre osservo la sua metamorfosi, i lunghi capelli scuri, la pelle rosea, pian piano lasciano il posto alle sembianze di colui che detesto con tutto me stesso: il trucco è svelato.
La sua rabbia e la mia raggiungono l’apice… sento che la resa dei conti è vicina.
Ci battiamo ancora… senza esclusione di colpi… mi rendo conto di aver speso gran parte delle mie energie e di non poter resistere a lungo…eppure non posso permettergli di sopraffarmi, non dopo tutti gli sforzi compiuti per arrivare fin qui. Con le poche forze che ancora mi restano, afferro una grossa asse di legno alla mia destra e la uso ripetutamente per colpirlo con tutta la violenza di cui sono capace… egli è stremato, non reagisce nemmeno… sono ad un passo dalla vittoria… ma inaspettatamente si rialza, para i miei attacchi e mi scaglia violentemente contro la finestra, poi ricado sul pavimento, tento di sfuggire dalle sue grinfie inutilmente… mi afferra per le spalle, mi sbatte più volte contro la parete, finchè con un calcio mi spinge fuori dalla soffitta, facendomi rotolare giù per le scale…
Non so per quanto tempo sono rimasto al piano di sotto, nella stanza ove tutto era cominciato, steso per terra a faccia in giù. Perfino meravigliato di essere ancora vivo, mi aspetto da un momento all’altro che il mio nemico mi finisca. Apro gli occhi e qualcosa poco lontano da me attira la mia attenzione, sotto un paio di assi di legno sollevate e in parte fracassate, noto quello che sembra essere un grosso pugnale… no… una spada.
Mi sposto, strisciando con notevole sforzo per raggiungere l’arma… intanto Lui manifesta la sua presenza in cima alla scalinata, mi osserva con un’espressione soddisfatta, non accenna a muoversi.
Allora lo stuzzico, lo provoco insultandolo e invitandolo a finirmi… non se lo fa ripetere due volte, con paio di salti supera i gradini, mentre io mi sollevo sulla schiena fissandolo con fierezza, finalmente si decide a sferrare l’assalto mortale, si slancia verso di me… deciso ad uccidermi, ma una frazione di secondo prima che riesca nell’intento, con le ultime energie rimastemi, tiro fuori la spada da dietro la schiena e con un preciso fendente gli taglio di netto la testa.
E’ finita… osservo il suo corpo che si dissolve fino a ridursi in un cumulo di cenere. Guardo l’arma che mi ha permesso di vincere la mia sfida… sull’impugnatura d’argento vi sono incise delle parole in una lingua incomprensibile.
Non so come sia finita tra le mie mani proprio nel momento di maggior bisogno… in fondo non è importante scoprirlo.
Pensavo avrei provato sollievo qualora fossi riuscito a raggiungere il mio scopo, invece questo profondo, schiacciante senso di angoscia non mi abbandona, ma non è il momento di analizzare il mio stato d’animo… voglio solo lasciarmi alle spalle quest’orribile luogo…
Dimenticare? Impossibile… L’unica speranza è che il tempo mi sia amico e un giorno alleggerisca il peso opprimente della mia solitudine…

CITAZIONE
Novembre

Un'altra genialata della nostra sindaca: vietato fumare nei parchi e giardini pubblici.


La civiltà.

Ai tempi di mio nonno nelle case
non c'erano i servizi e manco il bagno.
Erano, perdonatemi la frase,
tempi di merda, e adesso non mi lagno
che abbiamo tutte le comodità
e non dobbiamo uscire per "cacà".

Mio nonno, che il Signore l'abbia in gloria,
per defecare, non avea imbarazzo,
me ne fu tramandata la memoria,
si portava il "zi peppe" sul terrazzo
e li, nel buio, la pipa si fumava
mentre che l'intestino si svuotava.

Io pure, come tutti, ho il gabinetto
ma se mi accendo lì una sigaretta
mi dicono di no: "non è corretto
ed è la civiltà che ce lo detta.
In casa non si deve mai appestare
trovati un altro posto per fumare!"

Allora mi è brillata una scintilla:
nel cappotto mi sono intabarrato
ed ho trovato una panchina in villa.
Finalmente mi sono stravaccato
e, con le mani fredde per l'arietta,
ho acceso la mia cara sigaretta.


Ma un vigile mi accosta: "Lei signore,
fumando in questo parco del comune,
ci copre di vergogna e disonore,
e da una bella multa non è immune.
Lei queste cose forse non le sa
ma siamo il faro della civiltà".


Cosa fare? Che vale protestare?
la legge è legge e vassi rispettata.
purtroppo non mi resta che pagare.
Così, con l'aria un po' mortificata,
ho attinto dalla mia magra pensione
ed ho pagato la contravvenzione.


Ma devo dirvi, non senza imbarazzo,
che questa civiltà mi ha rotto il cazzo.

CITAZIONE

Dicembre


Ok, la cena è andata bene, è stata proprio bella. Per lei.
Lei ha ricevuto tutti i complimenti degli amici, i suoi amici, anzi le sue amiche. I miei di amici li ho persi da un pezzo, o quantomeno non hanno più il coraggio di venire a trovarmi. Le sue di amiche sono più o meno tutte di sinistra, qualcuna ha persino un compagno che porta a queste cene in casa nostra. Questi compagni sono uguali a me, cioè succubi, sfiniti, devastatati da siffatte donne liberate. Loro, le amiche compagne, non mi vedono come un essere umano o un amico, ma come il convivente della loro amica-compagna che mi ha miracolato, e anche se qualche lato buono ce lo devo comunque avere, almeno come servo, per il resto sono inferiore per genesi e sicuramente sospetto, colpevole a prescindere per il destino delle donne, della violenza, della corruzione, della siccità, dell’Etna e del traffico.
Lei ha cucinato, è vero, quindi ecco il perché dei complimenti, il fatto però è che io, il servo della gleba, ho lavato tutto, tutti i piatti, le pentole, i fornelli, le stoviglie di ogni tipo. Lavato e rilavato, nel silenzio della mia testa ottenebrata dalle chiacchere di lei con le amiche compagne mentre cucinava le sue pietanze esotiche-terzomondiste-agrituristiche-ecologiche-bioregionali.
Non so bene come sentano i sapori, né come riescano a individuarsi se non attraverso le chiacchere, viste tutte le sigarette che si fumano e la relativa nebbia, da far rimanere allibito la buonanima di mio padre rimastoci secco prima del tempo visto che ne fumava due pacchetti senza filtro al giorno.
Cazzo quanto fumano le donne, e quelle di sinistra più di tutte.
Insomma una bella serata, non vedevo l’ora che finisse, magari poi per via dell’alcool ci scappa pure qualcosa con lei, senza prima dover fare i salti mortali corteggiandola per renderla lieta.
Però, porcoddio, i piatti... di nuovo. Non era abbastanza sbronza, non al punto di dimenticarseli. E’ un equilibrio molto difficile da raggiungere, quello di riuscire a farla sbronzare quel tanto che si dimentichi di riordinare a fine serata ma non al punto di addormentarsi.
E i piatti, si sa, toccano a me, quindi qualche salto mortale mi tocca lo stesso, ma almeno non devo scervellarmi.
Ok, sono tutti all’ingresso per i saluti, ho una mezz’ora buona, forse se corro ce la faccio a farla rimanere accondiscendente e lieta con tutto pulito e riordinato. Dai, ecco, partito, apro l’acqua, che dopo dieci secondi comincia a riempire il lavandino fino all’orlo. Tubi intasati. Mi abbasso, svito il sifone, il problema non è lì, è più a valle. Corro in bagno, disperato, frenetico, so dov’è l’intoppo, il pavimento, il pozzetto, lo apro, ecco, è lì.
Capelli. Lunghi, neri, tanti, che si muovono. Perché, come ogni maschio etero convivente delle femmine sa bene, i loro capelli sono vivi, crescono anche se tagliati e si muovono, si avviluppano, ringhiano (i gay conviventi delle femmine non hanno di questi problemi, i capelli delle donne non li attaccano) e si lasciano rimuovere solo dalle dolci mani della loro padrona, altrimenti c’è bisogno dell’acido solforico.

Inutile recriminare con lei, né adesso - che significherebbe la fine quasi certa delle mie già labili speranze sessuali - né mai. Perché, si sa, i tubi si intasano per colpa dei peli della mia barba, lunghezza cm. 0,02, non dei tappi dei suoi flaconi e cosmetici insieme a pinzette e fermaciuffi e tamponi ma non dimentichiamoci, ecco, i suoi capelli.
Ok, veloce, l’acido, solforico, ce l’ho! Per la fretta non mi metto neanche guanti e occhiali, i capelli nel pozzetto si muovono, un groviglio lucente, nervoso e sinuoso come un pitone. Avvicino il flacone al pozzetto e verso il liquido sul pitone, che comincia a divincolarsi e a friggere; nel giro di venti secondi le ultime propaggini delle sue spire spariscono ingoiate dal tubo, seguite da un lungo lamento di rabbia e di dolore.
Una voce dal salone, dove lei finalmente sola sta fumando e finendo l’ultimo bicchiere di vino, parlando al cellulare con chissà chi dei suoi due milioni di contatti, minimo: “Cos’era quel rumore, sembrava un urlo!”, dopodiché la sua faccia compare sulla soglia del bagno, sospettosa e spaventata, angosciata, non sa bene neanche lei il perché. Ce la metto tutta per rilassarla, rasserenarla, fare il carino, farle dimenticare il grido di aiuto di una parte del suo corpo, e infine ce la faccio, forse. Lei va via dalla soglia e io corro a lavare i piatti. Sette minuti, tempo record, mi faccio malissimo al piede perché l’ho messo sotto un vassoio di porcellana cadutomi di mano per salvarlo dalla rottura, probabilmente ho qualche metatarso fratturato, chissenefrega, non ho tempo per soffrire, forse si scopa.
Finito, lei è già in camera da letto, io accendo una lontanissima musica, riempio due bicchieri di vino e mi dirigo verso il talamo. La camera da letto è semibuia, lei è lì, in mezzo alle lenzuola, nuda, mi guarda, distesa sui suoi incredibili, lussuriosi, infiniti e tropicali capelli che si muovono, ne sono sicuro, chiamandomi insieme a lei, e io non so bene ora cosa mi accadrà, ma non importa, sono stanco, è da un pezzo che mi sono già arreso, voglio morire, voglio lei.

Per piacere votate il mese altrimenti conta qualcun altro.

Edited by pv - 9/1/2010, 12:52
 
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vit.
view post Posted on 16/1/2010, 08:47     +1   -1




...non l'avevo letto, perchè troppo lungo, ma adesso l'ho fatto, quello che immagino sia di nanni, Tantalo". Mi è piaciuto, anche se ammetto che forse non l'ho capito, era uno scherzo, Nanni? E il protagonista non aveva capito?

comunque lo voto.
 
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nanni
view post Posted on 16/1/2010, 09:49     +1   -1




Dovrebbe far ridere... Una volta messo in scena ed interpretato da un attore decente.

Almeno nelle intenzioni.
 
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view post Posted on 16/1/2010, 09:51     +1   -1
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Mi sa che era uno scherzo . Ma forse anche no...

Comunque me l' hai fatto leggere per la prima volta stamattina.
Che dire . I racconti di Nanni mi fanno impazzire.
Hanno piu' o meno la stessa struttura.
Si parte girando intorno ad un qualcosa ma alla fine il qualcosa non e' mai quello che pensava. O si parte dalla fine, come in questo caso, ma la fine e' diversa dalla fine dell' inizio. Come se il tempo passato a leggere ci impedisca di tornare esattamente al momento iniziale perche' e' intervenuta la quarta dimensione.
Piu' altro ancora...
E' difficile fare delle classificazioni sui racconti di nanni.
La stragrande maggioranza della gaussiana sta' tra il 9,5 e il dieci.
Il rimanente poco piu' o poco meno.

Detto cio' non e' un post ma un racconto...
Ce ne sono pure altri ma almeno sono piu' brevi.
In questi hanni ho visto post che preferivo. Alcuni di Chrono o di sol o monnalisa o di tanti altri... quelli che partecipano sono un po' strani. Quelli che vincono poi...
Comunque ci penso ancora un pochino prima di votare...
 
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Spica
view post Posted on 16/1/2010, 10:07     +1   -1




CITAZIONE (nanni @ 16/1/2010, 09:49)
Dovrebbe far ridere... Una volta messo in scena ed interpretato da un attore decente.

Almeno nelle intenzioni.

..e tu, quanto ti sei divertito a scriverlo..?
 
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vit.
view post Posted on 16/1/2010, 12:04     +1   -1




CITAZIONE (nanni @ 16/1/2010, 09:49)
Dovrebbe far ridere... Una volta messo in scena ed interpretato da un attore decente.

Almeno nelle intenzioni.

be', il lato comico è evidente, ma non è detto che debba sempre far ridere, almeno non a me - lo vedo più drammatico o tragico -, anche se non l'ho visto recitato, magari dà un'altra impressione. Anche se recitando si potrebbe dare qualsiasi forma si vuole a qualsiasi parte.

CITAZIONE
Ma forse anche no...

te prego, anche tu no...
 
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view post Posted on 30/1/2010, 09:16     +1   -1
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CITAZIONE (pv @ 16/1/2010, 09:51)
.
.


Detto cio' non e' un post ma un racconto...
Ce ne sono pure altri ma almeno sono piu' brevi.
In questi hanni ho visto post che preferivo. Alcuni di Chrono o di sol o monnalisa o di tanti altri... quelli che partecipano sono un po' strani. Quelli che vincono poi...
Comunque ci penso ancora un pochino prima di votare...

Di post in effetti ce ne sono pochi. E quelli che ci sono non mi piacciono.
Restano due racconti: ottobre e dicembre.
Sempre troppo lunghi.

Voto ottobre amche perche' e' un po' originale nella sua struttura di citazione /risposta.
 
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Lara Croft
view post Posted on 30/1/2010, 10:24     +1   -1




Io voto Dicembre...
 
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view post Posted on 5/2/2010, 19:17     +1   -1
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Non esiste il post dell' anno.
Dicembre, ottobre ed agosto hanno un punto.

;)
 
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8 replies since 9/1/2010, 08:51   301 views
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