Sylviondas
Un viaggiatore ho incontrato, giunto da un paese antico,
mi disse: “Due immensi tacchi di pietra privi di tronco
si ergono in Padania… Vicino ad essi nella nebbia,
mezzo sepolto, giace un parrucchino in frantumi, sopra un cipiglio
e il corrugato labbro, il cui ghigno di istrione
rivela che lo scultore assai bene colse quelle passioni
che ancora sopravvivono -impresse in quegli oggetti senza vita-
a quella mano che le raffigurò e all’anima che le nutrì.
E sopra il piedistallo stanno incise queste parole:
“Sylviondas è il mio nome, il cavalier dei cavalier:
guardate alle mie opere, o nullatenenti, e disperate!”
Null’altro rimane.
Attorno allo sfacelo di quel rudere immenso, sconfinato e nudo,
si stende nelle nebbie, solitario, il piano.