| | Cosa amiamo di più delle nostre donne, e dei nostri uomini | |
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| il_pruno_bianco |
| | CITAZIONE (lupetto_sulla_zattera @ 26/8/2012, 11:57) Il disagio di cui ho parlato a proposito di me stesso è riferito a un contesto specifico, quello del rapporto affettivo paritario e non di parentela tra due persone adulte di sesso diverso. Ognuno di questi aspetti è importante. E' importante che sia un rapporto affettivo paritario e tra adulti, perché la scelta di come reciprocamente indicarsi è una scelta consapevole e condivisa di definizione del rapporto stesso. E' importante che non ci sia parentela, perché in questo caso il contesto culturale cambia radicalmente: per stare al tuo esempio "mio figlio" ha sì un elemento di possesso, ma la dipendenza che implica è ben diversa dalla potenziale dipendenza implicita nel "mia moglie". E' importante, soprattutto, la differenza di genere; l'implicazione del possesso tra un uomo e una donna non è paritaria, è sbilanciata (in termini generali e culturali, poi ogni caso è specifico, naturalmente). Per dirlo nel modo più semplice, nella cultura generalmente accettata e tuttora diffusa e radicata (anche) in questa parte di mondo: "la mia donna" e "il mio uomo" sono solo apparentemente simmetrici, in realtà entrambe le espressioni affermano l'appartenenza di una donna a un uomo, non il reciproco. Grossolanamente (ripeto, sto semplificando, anche se non dovrei, una questione complessa) è la logica del "se la mia donna mi tradisse la ammazzerei" e del "anche se mi tradisce è sempre il mio uomo". sì, è vero, ed è pur vero che gli aspetti negativi delle nostre culture si combattono anche con il linguaggio...
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