| Non posso che ripetere che ci sono linguaggi (e piani) diversi. Per capirci, la definizione (è una definizione, anche se non in forma di definizione) di "mio" data da Luce ha a che fare, mi sembra, in qualche modo con l'appartenenza ma non con il possesso, anzi lo esclude. Proprio per questo la trovo non solo accettabile, anche lodevole. Sempre per capirci: chiunque dica "il mio Paese" non intende certamente che quel Paese sia "di sua proprietà", a meno che sia un particolare tipo di nazionalista idiota. E così via: i significati di una qualsiasi parola possono essere molti e diversi (altrimenti avvocati come Croft sarebbero disoccupati...): dipende dai contesti.
Il disagio di cui ho parlato a proposito di me stesso è riferito a un contesto specifico, quello del rapporto affettivo paritario e non di parentela tra due persone adulte di sesso diverso. Ognuno di questi aspetti è importante. E' importante che sia un rapporto affettivo paritario e tra adulti, perché la scelta di come reciprocamente indicarsi è una scelta consapevole e condivisa di definizione del rapporto stesso. E' importante che non ci sia parentela, perché in questo caso il contesto culturale cambia radicalmente: per stare al tuo esempio "mio figlio" ha sì un elemento di possesso, ma la dipendenza che implica è ben diversa dalla potenziale dipendenza implicita nel "mia moglie". E' importante, soprattutto, la differenza di genere; l'implicazione del possesso tra un uomo e una donna non è paritaria, è sbilanciata (in termini generali e culturali, poi ogni caso è specifico, naturalmente). Per dirlo nel modo più semplice, nella cultura generalmente accettata e tuttora diffusa e radicata (anche) in questa parte di mondo: "la mia donna" e "il mio uomo" sono solo apparentemente simmetrici, in realtà entrambe le espressioni affermano l'appartenenza di una donna a un uomo, non il reciproco. Grossolanamente (ripeto, sto semplificando, anche se non dovrei, una questione complessa) è la logica del "se la mia donna mi tradisse la ammazzerei" e del "anche se mi tradisce è sempre il mio uomo".
Il tuo esempio mi sembra quindi poco adatto. Ma contiene un elemento assolutamente vero. Diamo priorità, sempre, alle persone (animali, cose) che più amiamo, non necessariamente a quelle che ci appartengono. Di certo tu sei tua, anzi sei probabilmente l'unica persona che davvero e completamente ti appartiene (con buona pace di chi pensa che apparteniamo a un dio). Ma, dovendo scegliere, sono altrettanto certo che salveresti quel tuo figlio, non te stessa. E' più tuo di te stessa? No, ma probabilmente lo ami più di te stessa.
Torno allora al punto di partenza. Per la mia storia, esperienza, cultura, formazione, è importante, molto importante, che alcuni elementi siano sempre certi al di là di ogni possibile, perfino se remotamente possibile, confusione o ambiguità neppure nel linguaggio quotidiano. Uno di questi è il principio che nessuno può "possedere" nessuno, e il fatto di amarsi non giustifica un'eccezione. Altri hanno altre storie, altra formazione, altra cultura, altra lingua, altre priorità. Va bene così.
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